Dalla Costituzione al Coronavirus: la bussola della Dottrina sociale della Chiesa - CENTRO FORMAZIONE BETANIA

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Dalla Costituzione al Coronavirus: la bussola della Dottrina sociale della Chiesa

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La sezione Ricerche di questo numero della nostra rivista, curata sul piano scientifico da Antonio Campati, è dedicata ad approfondire alcune trasformazioni della democrazia contemporanea, avendo come riferimento soprattutto la nostra Costituzione. È dunque significativo che apra la sezione un saggio della presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, nel quale evidenzia i caratteri problematici che la democrazia rappresentativa si trova ad affrontare negli ultimi anni. Seguono poi i contributi di Rocco Pezzimenti e di Ernesto Preziosi che mettono in luce, da diverse angolature, l’apporto che hanno offerto i cattolici all’elaborazione della Carta costituzionale, un apporto fondamentale e che non dobbiamo dimenticare o ricordare solo retoricamente. I successivi interventi si soffermano su tre aspetti cruciali per la democrazia di oggi e di domani: Markus Krienke esplora i meccanismi di inclusione democratica in relazione all’utilizzo delle nuove tecnologie; Antonio Campati ripercorre le fasi di trasformazione del partito politico, soggetto centrale per l’architettura rappresentativa e, infine, Andrea Patanè si sofferma sulla «riscoperta» dei diritti sanciti dalla Costituzione a seguito della crisi causata dal Covid-19.
 
L’emergenza che ci ha travolto in questi mesi, infatti, ci induce a ripensare molte chiavi di lettura che abbiamo adoperato fino ad oggi: occorre «lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte», come suggerisce Giuseppe De Rita nell’intervista pubblicata nella sezione Agorà. Tornando al tema della sezione monografica, è evidente che tra i principi della Costituzione e gli indirizzi di fondo della Dottrina Sociale vi siano non poche assonanze. Entrambe – la Costituzione e la Dottrina sociale della Chiesa – hanno a che fare con la persona e la comunità umana e, nella distinzione degli ambiti civile e spirituale, hanno in comune la finalità di rendere la comunità umana capace di comportamenti solidali. Una carezza e una bussola nel post-moderno La Dottrina sociale della Chiesa (DSC) è per noi una carezza, la carezza di Dio agli uomini, ma anche una bussola per la vita sociale. Ci aiuta a porre in evidenza il tema della famiglia nella sua dimensione sociale dal momento che è semplicemente la dimensione sociale del Vangelo. Dio ha affidato alla famiglia la cura dei legami e il progetto di rendere «familiare» il mondo, che oggi viene definito post-moderno. L’uomo vive nel presente senza orizzonti. Domina l’incertezza.
 
Il post-moderno è così definito perché si allontana dalle idee di progresso, primato della ragione e fede nella scienza, che avevano costituito le idee forza della modernità. L’uomo post-moderno non trova più un senso nella storia. Come nelle ironiche imitazioni televisive di Maurizio Crozza, decostruisce, smaschera, si abbandona ai giochi linguistici. Auschwitz e i gulag hanno reso inservibile il pensiero forte. Si afferma, nella società liquida, il pensiero debole. Dunque, il pensiero che non pretende di possedere la verità, che vive più di dubbi che di certezze, un pensiero non metafisico, non scientifico, non dialettico, ma estetico, ermetico, soft. Dalla cruna dell’ago di evangelica memoria siamo passati tutti, cammello compreso, nella cruna dell’ego, siamo tutti dentro l’era del selfie. Narcisismo, emozionalismo, edonismo, consumismo, sono i tanti ismi che molti scienziati sociali colgono nella contemporaneità.
Questo tempo post-moderno, che pure ha tanti limiti e suscita tante critiche, non va demonizzato perché non è privo di connotati che ci interrogano. Capiamoci bene. Non stiamo dicendo con Leibniz che quello in cui viviamo è «il migliore dei mondi possibili». Diciamo che, nell’affrontare i temi sociali, la bussola della DSC può essere davvero utile, come la Costituzione, per le persone. Una bussola che al Nord indica la dignità trascendente della persona, al Sud il bene comune, all’Est la solidarietà e all’Ovest la sussidiarietà. I punti geografici non sono scelti a caso se solo si pensa alla geopolitica delle ideologie, con edonismo e individualismo ben diffusi nel Nord del mondo. Con la solidarietà per tanto tempo confusa col collettivismo all’Est. Il bene comune scambiato per «reddito di cittadinanza», specie al Sud. E la sussidiarietà scambiata per privatizzazione. Tutti i temi presenti nella nostra Costituzione, ma non sempre sviluppati adeguatamente nel nostro paese. La DSC è un paio di occhiali che ci aiuta a restare svegli, a non assuefarci al pensiero dominante. A sviluppare pensiero critico e anticonformista. Anche perché è facile dimostrare che il principio-persona è proprio agli antipodi dell’individualismo e del narcisismo dei selfie. Che il bene comune è, come diceva Jacques Maritain, «la vita retta della moltitudine» e non l’assistenzialismo. Che il principio di solidarietà non è rinuncia alla libertà e conformismo ideologico. Che la sussidiarietà è l’antidoto al soffocante statalismo che impedisce spesso a persone, famiglie, corpi intermedi, comunità locali di agire liberamente, con creatività e senza vincoli burocratici. La Dottrina Sociale, dalla Rerum Novarum di Leone XIII del 1891, alla Mater et Magistra di san Giovanni XXXIII, alla Centesimus Annus del 1991 di san Giovanni Paolo II, alla Evangelii Gaudium di Papa Francesco del 2013 (tutti testi da rileggere oggi e da raccontare ai nostri figli per aiutarli a capire il mondo e l’evoluzione storica del pensiero sociale), alla fin fine sono uno sviluppo sistematico e storicamente situato di tutto quello che è già presente nel Vangelo. L’uomo che in Cristo riscopre la sua dignità trascendente (principio-persona), che viene aiutato a liberarsi della sua avidità e si mette al servizio degli altri (solidarietà), l’uomo che vince il suo egoismo naturale per occuparsi del bene di tutti (bene comune), e infine una società che dia spazio ai corpi intermedi e consenta che gruppi e comunità possano svilupparsi in carità e giustizia (sussidiarietà).

Nell’usare la bussola della DSC è bene aver presenti due grandi principi di discernimento che troviamo nel Nuovo Testamento. Il primo ci è offerto da san Paolo che nella lettera ai Romani ci dice al capitolo 12: «non conformatevi alla mentalità del tempo». L’altro ci è offerto da Gesù che ci dice: «non sono venuto per condannare il mondo ma per salvare il mondo» (Gv. 12, 47). Non è dunque una bussola per condannare. E neppure una bussola per un facile conformismo sociale. In questa bussola, se ben usata, convivono pensiero critico e amicizia con gli uomini del nostro tempo. Sono troppi quelli che rischiano di conformarsi e di credere acriticamente a tutto quello che dice la televisione. Ma ci sono anche tanti che passano il tempo a condannare il mondo. A noi sembra invece che questo tempo vada ascoltato.

Con il post-moderno possiamo condividere il primato della soggettività, la solidarietà, l’attenzione alla natura, il no all’abuso della ragione, l’abbandono degli assolutismi ideologici, la svolta linguistica che mette al centro la parola. Anche la Chiesa deve ripensarsi alla luce di queste nuove condizioni. La sfida del coronavirus: non ci si salva da soli Non ti salvi da solo, nessuna coppia si salva da solo. E, specie nei momenti di difficoltà, l’aiuto di Dio si manifesta, concretamente, nel volto dei fratelli.
Questo vale per la dimensione personale e ancor più per la vita sociale. Le ingiustizie sociali, il divario tra povertà e ricchezza, la diffusione di nuove forme di schiavitù, il livello di inquinamento della terra, il degrado dell’ambiente naturale sono elementi che ci portano a formulare un giudizio, a prendersi una responsabilità nelle nostre azioni. Come realizzare una vera fratellanza a livello planetario? Solidarietà, sussidiarietà, bene comune, dignità della persona, non sono idee astratte ma sono dimensioni autentiche della vita sociale e a maggior ragione familiare. La famiglia è in effetti la prima scuola di Dottrina Sociale della Chiesa. È in famiglia che si impara la solidarietà con i fratelli, che ci arriva fin dal latte materno e dalle notti insonni dei genitori per prendersi cura dei neonati. È in famiglia che si impara la sussidiarietà, rimboccandosi le maniche e non aspettando tutto dall’assistenza degli altri. È in famiglia che capiamo cosa è il bene comune. E, infine, è in famiglia che si scopre la dignità trascendente della persona umana. Un essere-per (persona). Persona non è individuo ma è apertura all’altro. Come ci ricorda Michel de Certeau: «mai senza l’altro». Proprio perché l’uomo non è un’isola la società nasce in famiglia e la famiglia è il luogo di rigenerazione della vita sociale. Niente di meno vero che ricondurre la famiglia ad un tema conservatore e tanto meno dividere i cattolici tra sostenitori della famiglia e sostenitori dell’importanza di temi sociali, come lotta alla povertà e accoglienza degli immigrati.

Come la tunica di Cristo, la DSC non sopporta strappi. Tutto si tiene. Pace, solidarietà internazionale, accoglienza degli immigrati, vita, famiglia. Anzi la famiglia è il primigenio luogo teologico della solidarietà. Non la famiglia individualistica, con le porte chiuse, ma la famiglia consapevole che ha bisogno degli altri, aperta al mondo e il mondo globalizzato come una grande famiglia umana. Le recenti vicende dell’epidemia mondiale di Covid-19 ci testimoniano proprio questa realtà. Nel XIV secolo la peste nera per arrivare in Europa dalla Mongolia, provocando 30 milioni di morti, viaggiò utilizzando come vettori i topi nelle stive delle navi.

Oggi il Coronavirus si è diffuso grazie al miliardo di cittadini del mondo che fanno viaggi internazionali. Siamo un’unica famiglia umana. Ci possiamo ammalare tutti e possiamo guarire se ci curiamo gli uni degli altri. Il costo in vite umane del Covid-19 è stato molto alto. Le vittime non sono stati solo gli anziani, spesso non aiutati dalla carenza di dispositivi di protezione nelle Rsa. E un fenomeno che fa riflettere è che in un grande Paese come gli Stati Uniti, il 70% dei deceduti, in alcuni casi frettolosamente sepolti in fosse comuni, appartenevano alla popolazione afroamericana, una fascia di cittadinanza che, in una fase di emergenza sanitaria, non ha diritto di cura e possibilità di accesso alle terapie. Occorre evitare – con tutti i mezzi – che le persone più fragili scivolino verso l’esclusione dal diritto di cura perdendo la possibilità di provvedere alla propria salute di farsi assistere.

Purtroppo, in alcune zone del mondo sembra prevalere il «si salvi chi può... pagarsi le cure». La pandemia ha messo in luce un elemento che forse era stato dimenticato: la fragilità umana. Un minuscolo virus ha bloccato il mondo. Questa fragilità ci rende consapevoli che dalla crisi della pandemia possiamo uscire solo insieme. Con un nuovo slancio di solidarietà e con un nuovo paradigma economico, attento a globalizzare il bene comune e a contrastare ogni tentazione nazionalista e sovranista.

di Claudio Gentili dalla rivista “La Società”

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